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05 Apr 2016
Al carcere di Alghero con i giganti per la seconda sessione del progetto One Team: storie di basket, di vita e di campioni mancati
 
Il palleggio di David Logan attraversa il patio interno all’aperto, prende la via dei corridoi, rimbomba con ritmo regolare, superando passaggi che si restringono ad arco ma senza trovare cancelli, e arriva all’uscita. Qui si ferma davanti alla porta verde che chiude tutto sottovuoto, pochi secondi e arriva l’addetto, solo lui può aprirla. La mattinata dei giganti nel carcere di Alghero è finita. Paolo Citrini, Matteo Formenti e il Professore escono, hanno appena salutato i quindici detenuti con cui hanno trascorso le ultime due ore, a parlare di vita, di sport e di sogni. E a giocare a basket.

Si inizia con le chiacchiere, c’è un programma, One Team prevede come sempre una parola chiave, un tema di riflessione. “Creatività” in scaletta per questo secondo incontro. Il One Team coach e assistant biancoblu rompe il ghiaccio, parla della squadra, di quanto siano importanti creatività e immaginazione per alimentare passione e motivazione. Anche nel basket. Fa degli esempi: “Prima ancora della squadra viene il talento individuale, la creatività di ciascuno dei componenti. Quando il singolo riesce a esprimere al massimo la propria creatività, il proprio talento, anche il gioco di squadra riesce meglio. Se invece ognuno gioca per se stesso talento e creatività perdono valore,  si trasformano in qualcosa di negativo”. La conversazione è viva, esce dai binari del tema, ci ritorna, trainata da uomini di tante età e nazionalità, tutt’altro che disinteressati e pronti, prontissimi, a dire la loro, ad aprire il tema su altre prospettive. Quelle di uomini che da anni vivono in una casa di reclusione e che sanno che ancora tanti ne passeranno prima che possano lasciarla. Uomini che sperimentano una condizione in un posto molto diverso dalla cella che si potrebbe immaginare. Il carcere di Alghero è uno spazio aperto, i detenuti non stanno in cella ma possono “liberamente” circolare in ampie aree della struttura, compresi i campi da basket e da calcetto perfettamente tenuti, nel grande patio all’aperto. Uno di loro, il più loquace di tutti, interviene, stuzzica, tiene accesa la discussione e, soprattutto, gli spunti di riflessione sul tema: “Per me la creatività è arrivare alla fine della giornata, creare cose da fare perché il tempo passi e arrivi la sera - dice - .Voi la mattina vi alzate e fate allenamento, è la vostra professione e lì esprimete la vostra creatività. Io la mia la esprimo alzandomi la mattina e pensando a come organizzare il mio tempo, andando a correre o chiudendomi in biblioteca a studiare. E anche relazionandomi con gli altri che come me vivono qui”, aggiunge indicandoli con un gesto di mano circolare. La discussione si allarga, anche altri intervengono. Ancora Citrini, e questa volta anche Matteo Formenti, parlano di creatività, immaginazione, sogni e motivazione. “Guardando indietro – dice Matteo Formenti -  ciò che un tempo avevo immaginato, forse solo come un sogno, sono sempre riuscito ad ottenerlo. L'immaginazione crea stimoli incredibili, che ti fanno arrivare a obiettivi straordinari”. Parla uno dei più giovani, accento sardo, in prima fila davanti ai giganti nella sala della biblioteca dove si svolge l’incontro: ”Anche noi abbiamo sogni, diversi dai vostri ma comunque obiettivi da raggiungere – dice - il riscatto della nostra vita, il rivedere la nostra famiglia… ecco questo per noi è uno stimolo, quello che dà un senso alla condizione che stiamo vivendo e a ciò che stiamo facendo”.

Arriva la domanda per Logan: “In che cosa riesci ad esprimere la tua creatività, che cosa ti dà gli stimoli?” Il Professore: “Per me creatività significa trovare nuovi stimoli dopo che hai già vinto tutto. Ritrovarsi con nuovi compagni e cominciare una nuova sfida, che è  anzitutto una sfida con se stessi credo che sia una grande spinta”.

L’orologio corre, la chiacchierata dura più del previsto, non si riesce a fermarla, come già accaduto durante il primo incontro. Non è un problema, anzi. Ma questo toglie tempo alla sessione di pallacanestro giocata. Si esce dalla biblioteca, pochi passi e si entra in campo, un pallone per ciascuno, tutti a palleggiare e tentare tiri impossibili da 9 metri. Qualcuno ci riesce, uno piccoletto, gli altri detenuti si rivolgono a lui pronunciando un nome che rivela  origini sudamericane. E’ lui il fenomeno del basket del carcere di Alghero, anche se qui forse nessuno lo sa. Quando era solo un bambino è arrivato in Italia con la sua famiglia, e per diversi anni ha giocato a pallacanestro nelle giovanili della Reyer Venezia. Poi la sua vita ha preso una strada diversa. Oggi ha 34 anni, da tre è detenuto nel carcere di Alghero. Ma gioca sempre a basket, ora con David Logan e Matteo Formenti, con i campioni d’Italia, con One Team.