Salta al contenuto principale
12 Feb 2018

Nell'intervista sull'ultimo numero di DinamoMania il playmaker sassarese racconta il suo ritorno a Sassari e la sua prima stagione nella massima serie

Il 5 febbraio ha compiuto 23 anni e ha festeggiato in famiglia, con genitori, nonna e i suoi tre fratelli. Minispi cresce e si fa largo tra i grandi del basket, mondo dove per la verità non è mai entrato in punta di piedi: già a sedici anni diceva la sua in campo con un carattere e un talento che lo hanno portato all’esordio in Serie A in maglia Dinamo contro l’Olimpia Milano. Dopo tre anni in giro per l’ltalia a fare esperienza nelle serie minori, la grande stagione da protagonista, lo scorso anno, con la Virtus Bologna promossa nella massima serie. Stagione che lo ha visto conquistare anche riconoscimenti personali, il titolo di miglior Under 22 e di MVP della Coppa Italia di A2. Poi il ritorno nella sua città, nella sua squadra, ad indossare e sudare per la sua maglia.

Hai appena compiuto 23 anni: come ti immaginavi a questa età 10 anni fa? I tuoi sogni di allora si sono realizzati?
Quando da ragazzino ho iniziato a giocare a basket pensavo solo a divertirmi, non ho ricordo di avere avuto sogni particolari allora, mi piaceva giocare perché stavo bene, mi divertivo. Certo ero ambizioso, capivo di avere talento e mi spingevo ad andare sempre oltre in campo. Nel tempo i sogni hanno comunque iniziato a prendere forma nella mia testa e sì, qualcuno l’ho realizzato – come giocare ai massimi livelli con la squadra della mia città – mentre qualcun altro lo devo ancora realizzare - come vincere qualcosa con questa maglia.

Un’ esperienza sempre in crescendo: quanto è importante essere parte di un club che offre vere opportunità?
E’ fondamentale. E’ molto difficile per i giovanissimi che fanno basket poter essere parte di una società a questi livelli e quindi con un nome importante che apre tante porte. Perché a volte non bastano talento e sacrificio ma contano le opportunità. Per me è stato davvero fondamentale, non smetterò mai di dirlo, aver avuto la possibilità di formarmi qui per poi farmi le ossa fuori e crescere non soltanto come atleta ma anche come persona, come uomo.

Cosa ti aspettavi quando sei partito per la prima volta fuori dal vivaio?
Per la verità ero un po’ impaurito anche se avevo già 18 anni. Qui entra in gioco un po’ anche il carattere di noi sardi, che facciamo un fatica a lasciare la Sardegna, ma è stato solo un pensiero, perché in realtà sapevo che mi sarebbe servito per crescere e l’ho davvero voluto. Oggi sicuramente non sarei lo stesso senza le esperienze a Bari, Casalpusterlengo, Reggio Calabria, Derthona e Bologna, tutte in egual modo importantissime a prescindere dai risultati raggiunti con ciascuna.

L’anno scorso Bologna, la tua consacrazione e il rientro a casa...
L’anno scorso è stata una stagione incredibile, abbiamo vinto tutto, Coppa Italia, campionato… soddisfazioni enormi. Poi il rientro nella mia città, un sogno sudato, guadagnato e realizzato. Ed è un sogno che sto vivendo tutti i giorni.

Prima stagione nella massima serie, quali sono le differenze più marcate rispetto all’esperienza in  A2?
Dal punto di vista del gioco c’è senza dubbio più fisicità, meno basket e più atletismo, più forza. Chiaramente all’inizio c’è qualche difficoltà a confrontarsi e misurarsi con giocatori più esperti e più forti. E’ sicuramente richiesta anche una maturità mentale maggiore, devi dare il 200 per cento, il margine di errore che puoi permetterti si assottiglia, devi guadagnarti ogni minuto in campo e ogni minuto deve essere di qualità.

Cosa ti aspetti da questa stagione?
Voglio dare tutto, al di là delle vittorie e delle sconfitte. Questo è il mio obbiettivo principale, per il rispetto che ho e che merita questa maglia.

In tanti dicono che quello di quest’anno sia un gruppo speciale…  
E’ vero. E’ un gruppo che sa davvero fare squadra, non ci sono ragazzi egoisti. Ognuno di noi lavora per lo stesso obiettivo, vogliamo vincere e ci aiutiamo l’uno con l’altro.

Ti chiamano minispi perché il più piccolo di quattro fratelli: che rapporto hai con loro?
Da piccolo ero un terremoto e tra di noi spesso erano scintille, soprattutto con il fratello di poco più grande di me. Col tempo e l’età ci siamo calmati, siamo molto uniti. Con loro e la mia famiglia condivido tutto il mio percorso.

Sei ormai un giocatore molto conosciuto e di successo: la parte migliore e la parte peggiore di questo?
Mi piace condividere la mia passione sui social e cercare di trasmettere l’emozione che ci metto. A volte capita però che si incrocino persone che non capiscono quanto impegno ci sia dietro, che non hanno rispetto per il lavoro e la fatica che faccio o che fa la squadra in cui gioco: E si creano situazioni spiacevoli, ci sentiamo dire parole sgradevoli e spesso ingrate. Ma credo anche che questo faccia parte del gioco.

Cose nella lista “fatto” e nella lista “da fare"?
Da fare sicuramente andare negli Stati Uniti e in generale girare il mondo, vedere posti nuovi. E anche vincere il campionato di serie A ed essere convocato in Nazionale. Tra le cose fatte, chiamare il mio cane Chalmers e vincere campionato e Coppa Italia in A2.

Come ti vedi tra 10 anni?
Mi vedo con moglie e un paio di mostriciattoli con la palla da basket in mano che mi arrivano alle ginocchia. E se il fisico me lo consentirà, mi vedo senz’altro ancora in campo.

 

Sassari, 13 febbraio 2018

Ufficio Stampa

Dinamo Banco di Sardegna