In esclusiva sul numero speciale Finals del magazine biancoblu DinamoMania distribuito ieri al PalaSerradimigni, Geppi Cucciari racconta la sua Dinamo, la finale della coppa europea e i festeggiamenti con i tifosi in Germania
Non dimenticherò mai il caldo di Reggio Emilia tre anni fa, né mai cancellerò dalla mia mente la tensione di quelle partite vinte, quasi con un cardiologico proposito, sempre nell’ultimo minuto e non prima di qualche frangente di smarrimento corale sotto canestro, con l’intento forse di alimentare quella antropologica sensazione di rivalsa che la Dinamo stava regalando a una regione intera. Porterò sempre con me l’abbraccio con Stefano Sardara alla fine di gara 7 il 26 giugno 2015. All’eternità della rete è consegnata una mia immagine in cui sembro Patty, la super tifosa di Holly e Benji con la fascia in testa, peraltro con il suo stesso charme e la sua stessa eleganza. Ogni volta che a Sassari suona l’inno italiano mi commuovo almeno quanto quando l’inspiegabile ma ormai identitaria Faccia di trudda invade il palazzetto.
Ho fresca nella mente la gioia di Milano, quando sul 2 a zero, ho pensato delle cose. Ma è in Germania che è rimasta una parte di me.
In taxi con Marco e altri alcuni tifosi di Orgoglio Biancoblu raggiungevo il campo della finale europea; mi è stata rivolta la per me allora bizzarra domanda «ma tu vieni a cofani aperti?», «I cofani di chi, apriamo?» ho risposto. «I nostri» mi è stato chiarito come se fosse la cosa più naturale del mondo. Rasserenata quindi sul fatto che non avessimo intenzione di forzare con un piede di porco le macchine altrui nei parcheggi, incuriosita di quanto potessimo essere territoriali e internazionali con un solo gesto, ho buttato lì una mia eventuale entusiasta adesione. Ho poi alla fine realizzato, con la gioia supplementare della vittoria, cosa significassero quelle parole. A fine gara, dopo i saluti, gli abbracci, le foto e i sorrisi alla birra, una cinquantina di persone si sono spostate in una piazzola dietro il palazzetto di Wurzburg.
Poco dopo, in piena bassa Franconia, all’imbrunire, da due portabagagli, uno dei quali proveniente da Macomer in quanto appartenente ad Alessio, sono fuoriusciti a caso: pane carasau e guttiau, pecorino e salsiccia, vino rosso e pure bianco, lardo (si, lardo, tipico snack primaverile), ricotta mustia e casizzolu, zicchi ladu e addirittura un salame felino, portato da un esotico fuorisede. Tutto ciò era da viversi assolutamente nella “dimensione antipasto”, perché a un certo punto è saltato fuori pure un maialetto, caldo addirittura. E poi le tilicche di Cesare, e i cioccolatini a forma di nuraghe.
Il vino porta il canto, il cibo porta il ballo, entrambi la Polizei, che è infatti sopraggiunta, spantata di tale raduno, ma dopo aver riscontrato la liceità dell’assembramento, ci ha lasciati lì.
Sui titoli di coda della serata ci siamo salutati e ci siamo spostati in un albergo, esattamente di fronte all’aeroporto da cui tutti noi avevamo il volo il giorno dopo. Tutti tranne io, che ho poi scoperto attonita che il mio volo partiva dall’altro aeroporto, a due ore da quell’albergo. Sulla rilassatezza di quel risveglio sorvolerei. Ma del resto sono la madrina bella, e sulla mia discutibile intelligenza gestionale turistica lascerei al tassista tedesco, alla mortificata signorina Alitalia, e a Lufthansa intera la memoria della mia lucidità.
Geppi Cucciari