Dalle grandi difficoltà nascono le migliori idee, con le grandi idee abbatti le differenze di budget e denaro, con le persone rendi tutto questo possibile, il fine rappresentato dal popolo sardo giustifica oggi cosa è diventata e cosa rappresenta la Dinamo.
EDITORIALE | LA DINAMO E' SQUADRA VERA
È la sintesi della stagione zero per Sassari, che dopo anni di successi, trofei e trionfi, ha vissuto la paura di perdere tutto in un secondo, di essere entrata nel mood dell’annata maledetta. La grande intelligenza sta nel riconoscere i propri errori, nel capirli e nel trasformarli in opportunità straordinarie.
Dalle ceneri del terz’ultimo posto e di giocatori in evidente difficoltà, su tutti un califfo come Bendzius, la Dinamo ha completamente svoltato il suo cammino, trovando un eccezionale condottiero come Bucchi, compattandosi e finendo addirittura tra le prime quattro d’Italia. Un risultato pazzesco considerato il fatto che tutte le squadre si sono rinforzate, che alcune squadre hanno inserito giocatori di Eurolega (vedi John Brown, Gudaitis, Hackett e Shengeila), che in corso d’opera ci sono state squadre che hanno firmato pedine senza farne uscire altre, alzando decisamente il livello di spesa e del roster. Il Banco ha fatto uscire Clemmons (che poi è andato in Turchia e ACB) per Robinson, Battle (che ha fatto bene in Israele) per Kruslin e Mekowulu (protagonista della salvezza di Saragozza in Spagna) per Bilan, senza fare particolari extrabudget, altro punto focale da non dimenticare nell’era post Covid, tsunami economico per una società che è una vera e propria azienda sportiva. Farlo in corsa è ancora più difficile, soprattutto farlo due volte, perché prima dell’arrivo di Bilan la Dinamo stava viaggiando fortissimo, ma riuscire ad incastrare il centro croato avrebbe significato avere un potenziale superiore per riuscire ad essere ancora più competitivi. Facile a dirsi, molto meno a farsi, altrimenti basterebbe collezionare figurine, bisogna trovare una chimica, un’identità, coinvolgere tutti e cambiare assetto. Bucchi, che è diventato il quarto allenatore di tutti i tempi per presenze ai playoff superando Bianchini, in questo è stato perfetto. Ha lavorato duramente ma entrando anche nella testa e nel lato umano dei giocatori, è stato un leader riconosciuto dal gruppo, ha dato delle gerarchie definite ma soprattutto è arrivato al post season con 10 giocatori in rotazione, riuscendo a far alzare il livello a giocatori che mai minimamente avevano combattuto al piano superiore vedi Treier e Diop.
Il senso della Dinamo è essere dispiaciuti per la sconfitta con Milano, ma capire come la nostra realtà possa essere riuscita ad arrivare a competere alla pari con giocatori che nel proprio bagaglio avevano Euroleghe, Scudetti, Olimpiadi, 1000 partite playoff e che probabilmente il 12° sarebbe stato il più pagato della nostra squadra. Tutti sono migliorati e hanno alzato il loro livello, la stanchezza fa parte di quel giocare ogni due giorni che favorisce chi ha budget di primissimo piano.
La Dinamo finisce la stagione con tre grandissime conquiste, avere la possibilità di aprire un ciclo con un grande allenatore e uomo come Bucchi, essere riuscita a costruire una base di gruppo competitivo con una precisa identità da cui ripartire, aver riabbracciato e fatto riassaporare vecchie emozioni ad un popolo innamorato della sua terra e della propria squadra.
È un grandissimo patrimonio che si scontrerà in futuro con realtà che alzeranno ancora di più l’asticella, che vorranno essere dove la Dinamo è oggi, che cercheranno di rientrare nell’Olimpo del basket.
Dovremmo essere ancora più bravi a sapere che non sono solo il mercato, il budget o i proclami ad ottenere i risultati, non dovremmo mai farci accecare dalla cupidigia di guardare nel giardino degli altri, anche se enorme e pieno di euro, dovremmo avere la consapevolezza che le idee e la passione unite allo spirito di chi rappresentiamo, possano essere più forti di qualunque cosa.