Impegno, autostima e gioco di squadra i temi degli ultimi incontri. Domani la chiusura del progetto con un ospite speciale: il velista Andrea Mura
Il campo in cui si gioca è quello del carcere di Alghero. La partita è quella proposta da Dinamo e Fondazione Dinamo per il secondo progetto One Team della stagione: una sfida che è confronto, scambio di esperienze, riflessione su temi importanti nella vita di tutti ma soprattutto nella vita di chi come i campioni d’Italia fa sport, e di chi come i detenuti, cerca il riscatto, guarda a una vita nuova fuori dai cancelli del carcere.Lo scenario è sempre quello della casa di reclusione della città catalana, una struttura piccola, raccolta, ben tenuta e accogliente, dove i detenuti possono circolare liberamente, fare attività, studiare nella attrezzatissima biblioteca, fare sport e uscire per andare a lavorare. Come in tante altre occasioni, già a partire dai primi giorni di marzo, le giornate sono soleggiate e il ritrovo non è più tra le mura della biblioteca ma all’aria aperta, nel grande patio all’interno del carcere. A chiacchierare con loro sulle parole chiave tema degli incontri delle ultime tre sessioni sono stati i One Team coach Massimo Bisin, Paolo Citrini e Massimo Maffezzoli e i giganti Denis Marconato e Josh Akognon, Jack Devecchi e Kenny Kadji, Lorenzo D’Ercole e Brent Petway. Incontri speciali, come sempre, in un confronto di esperienze trascorso a parlare e, palla in mano, nel campetto da basket all’aperto. Si parla di impegno, autostima e gioco di squadra, temi che accomunano in modo diverso i protagonisti. I detenuti si raccontano nei piccoli episodi che scandiscono le loro giornate ma soprattutto vogliono sapere com’è la vita da campioni, cosa spinga un americano a venire a giocare a Sassari, come facciano loro a mantenere l’autostima. “E’ molto difficile avere autostima – dicono alcuni a più riprese - anche perché nel momento in cui ti sembra di averne un po’, l’ambiente intorno cerca subito di attaccarla, di distruggerla. Sapere che saremo sempre giudicati per il nostro passato non dà un grande stimolo. Questa casa di reclusione a differenza di tante altre permette di studiare, di fare dei progetti integrativi. Ma quello che manca in Italia è un percorso vero e proprio di reintegrazione, differenziato per ogni detenuto perché, come tutte le altre persone, non siamo tutti uguali. Se pensiamo a tutto questo è decisamente difficile alimentare l’autostima e pensare che possa servire a darci la forza per sentirci nel mondo al pari degli altri”. I giganti ascoltano. E poi parlano della loro esperienza, raccontano di come queste parole abbiano permeato la loro vita, dentro e fuori dal campo. Di come anche delusioni, errori e fallimenti li abbiano aiutati a superare i loro stessi limiti, a capire di potercela fare, a non pensare di essere ma a trovare gli stimoli per migliorarsi sempre, guardando agli altri, e a sentendosi fra gli altri, come parte di un progetto che si realizza tutti insieme, con impegno, giocando di squadra.
Ma la grande attesa è sempre per il momento del confronto in campo: palla in mano e divisi in due gruppi il gran finale è in attacco a canestro per la partita e la gara di tiro. Lì non ci sono campioni né detenuti, lì c’è una sola squadra, c’è One Team.
Sassari, 1 maggio 2016
Ufficio Stampa
Dinamo Banco di Sardegna

